Alzheimer

APPROFONDIMENTI

ALZHEIMER

Descritta per la prima volta dal neuropatologo tedesco Alois Alzheimer nel 1906, è la forma più comune di demenza senile e rappresenta il 50-80% dei casi di demenza. Il morbo di Alzheimer è uno stato provocato da una alterazione delle funzioni cerebrali che colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi fra cui stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale. Generalmente, i sintomi si sviluppano lentamente e peggiorano con il passare del tempo, diventando talmente gravi da interferire con le attività quotidiane. Nonostante il massimo fattore di rischio conosciuto è rappresentato dall’avanzare dell’età, e la maggior parte delle persone affette dal morbo di Alzheimer hanno 65 e più anni, il morbo di Alzheimer non rappresenta un normale stadio dell’invecchiamento. Con l’età in tutti i soggetti si verificano nel cervello delle alterazioni: alcune parti del cervello degenerano e le cellule perdono reattività verso i messaggeri chimici che portano segnali al cervello, i neurotrasmettitori. Quando questo invecchiamento del cervello diventa molto più precoce e frequente si manifesta il morbo di Alzheimer.
Tuttavia, questa neuropatologia non è solo una malattia della vecchiaia. Fino al 5 per cento delle persone che ne soffrono si riscontra un’insorgenza precoce del morbo di Alzheimer (“insorgenza anticipata”), che spesso appare quando una persona ha tra 40 e 50 anni, o tra 50 e 60anni.
Il morbo di Alzheimer è una malattia progressiva, ovvero peggiora con il passare del tempo. Nelle sue fasi iniziali la perdita di memoria è leggera; tuttavia, in fase avanzata, le persone perdono la capacità di portare avanti una conversazione e di reagire nel loro ambiente. Chi soffre del morbo di Alzheimer vive in media 8 anni dopo che i sintomi diventano evidenti agli altri. La sopravvivenza può variare da 4 a 20 anni, a seconda dell'età e di altre condizioni di salute. 
Attualmente, il morbo di Alzheimer è incurabile e gli attuali trattamenti non possono fermare la sua progressione ma solo rallentare temporaneamente il peggioramento dei sintomi della demenza e migliorare la qualità della vita delle persone affette e di chi si occupa di loro. 

CAUSE E FATTORI DI RISCHIO
Le cause del morbo di Alzheimer sono ancora ignote, anche se sono stati identificati numerosi fattori che aumentano il rischio di sviluppare la patologia: l’età avanzata, la storia familiare, traumi cranici, stili di vita e condizioni che comportano problemi ai vasi sanguigni.
 Nei pazienti affetti da demenza di Alzheimer si osserva una perdita di cellule nervose nelle aree cerebrali vitali per la memoria e per altre funzioni cognitive dovute a diverse alterazioni che si verificano: alterazione dell’apolipoproteina E, componente di alcune lipoproteine che trasportano il colesterolo e presente nel gene del cromosoma 19; alterazione della proteina beta-amiloide, presente nel gene del cromosoma 21 e con proprietà neurotossiche, che aderisce alla membrana cerebrale portando a morte le cellule cerebrali; alterazione della proteina presenilina, precursore della proteina beta-amiloide e presente in un gene del cromosoma 14. Si riscontra, inoltre, un basso livello di quelle sostanze chimiche, come l'acetilcolina, che agiscono come neurotrasmettitori (messaggeri chimici che portano le informazioni al cervello) e che sono quindi coinvolte nella comunicazione tra le cellule nervose. 

SINTOMI
Il morbo di Alzheimer esordisce in maniera subdola con cambiamenti poco evidenti: amnesia, depressione o cambiamenti della personalità fino a sfociare in coma e morte. Si evolve rapidamente presentando, mano a mano che avanza, sintomi sempre più gravi e invalidanti, la cui velocità di progressione varia da paziente a paziente. La prima fase della malattia presenta alterazioni della capacità di giudizio e perdita della memoria a breve termine. Si tratta di segnali poco evidenti perché la malattia colpisce generalmente persone oltre i 60 anni, quindi già poco attive e questi sintomi potrebbero essere percepiti come un normale cambiamento dovuto all’età.
Nella seconda fase i soggetti iniziano ad avere difficoltà a ricordare eventi passati, soffrono frequenti attacchi di aggressività e hanno bisogno di assistenza. I segnali di allarme sono classificabili in: difficoltà a ricordare eventi passati; difficoltà nel linguaggio e nel fare ragionamenti logici; perdita totale di orientamento. Si riscontrano inoltre problemi psicologici quali alterazioni della personalità, variazioni dello stato emotivo e dell’umore (da felicità a tristezza, da euforia a depressione), apatia e disinteresse.
La terza fase comporta un completo stato confusionale, con allucinazioni e manie paranoiche; il soggetto non è in grado di camminare, né di prendersi cura di se stesso e necessita di continua assistenza domiciliare. Insorgono problemi di incontinenza, difficoltà di deglutizione, convulsioni o crisi epilettiche.
La fase finale comporta il coma e la morte, che in genere sopraggiunge in seguito ad infezioni secondarie nell’arco di 6 mesi. 

DIAGNOSI
La diagnosi precoce è importante per poter limitare alcuni dei sintomi della malattia con l’assunzione di farmaci inibitori dell’acetilcolinesterasi, l’enzima responsabile della distruzione dell’acetilcolina. Attualmente il solo modo per farlo è individuando le placche amiloidi che si formano nel cervello, cosa possibile solo con l’autopsia, per cui diagnosticare l’Alzheimer non è facile e bisogna avvalersi di altri tipi di analisi. 
Gli esami impiegati per la diagnosi sono: esame del liquido spinale, TAC cerebrale, test psicologici per valutare le capacità di memoria e comprensione, e la PET (tomografia ad emissione di positroni). Tuttavia, questi esami più che individuare l’Alzheimer escludono tumori cerebrali, problemi tiroidei e altre patologie che possono dare sintomi simili.

Bibliografia
ADAPT Research Group, Alzheimer Dement., 2015, 11 (2), 215.
Bateman R.J. et al., Alzheimers Res. Ther., 2011, 3 (1), 1.
Bonner-Jackson A. et al., Am. J. Geriatr. Psychiatry, 2012, 20 (7), 284.
Izzicupo F. et al., Alzheimer: Conoscere la malattia per saperla affrontare, 2009, Il Pensiero Scientifico Editore.
Mann D.M., Mech. Ageing Dev., 1988, 43, 99.
Purnell C. et al., Alzheimer Dis. Assoc. Disord., 2009, 23 (1), 1.
Sando S.B. et al., BMC Neurol., 2008, 8, 9.
Saunders A.M. et al., Neurology, 1993, 43 (8), 1467.
Schraen-Maschke S, et al., Biomark Med., 2008, 2 (4), 363.
Shea Y.F. et al., J. Formos. Med. Ass., 2015, 31, pii: S0929-6646(15)00302-2. doi: 10.1016/j.jfma.2015.08.004
Sjogren M. et al., Clin. Chem., 2001, 47 (10), 1776.
Strittmatter W.J. et al., Proc. Natl. Acad. Sci USA, 1993, 90 (5), 1977.
Tokuchi R. et al., J. Neurol. Sci., 2014, 346 (1-2), 288.
Vijay K. et al., Brain, 2015 DOI:10.1093/brain/awv231.
Walker K.R. et al., J. Neurosci., 2012, 32 (30), 10423.
WHO - World Health Organisation, 1993, Research guidelines for evaluating the safety and efficacy of herbal medicines.
World Alzheimer Report, 2015 verificato ottobre 2015 online http://www.alz.co.uk/research/world-report-2015
Zhou R. et al., Curr. Alzheimer Res., 2014, 11 (7), 706.
Share by: