Vitamina B9

APPROFONDIMENTI
ACIDO FOLICO

L’acido folico, anche detto vitamina B9, è una sostanza indispensabile per l’organismo, perché in qualità di cofattore enzimatico partecipa a numerosi processi metabolici: sintesi di purine e pirimidine; conversione dell’omocisteina in metionina (cofattore: vitamina B12) e di serina in glicina (cofattore vitamina B12); coinvolgimento nel metabolismo dell’istidina; mantenimento della normale eritropoiesi.
L’acido folico non può essere sintetizzato dall’organismo, il suo fabbisogno viene soddisfatto tramite un corretto apporto dietetico. 
E’ contenuto nei vegetali freschi verdi (insalata, asparagi, spinaci, broccoli), funghi, frutta (banane, meloni, limoni), fegato, rene, lievito. 
La dieta standard negli Stati Uniti fornisce una quantità variabile da 50 a 500 mcg/die di folati assorbibili, ma la biodisponiblità di folati nelle diete di tipo misto è variabile. 
L’acido folico negli integratori ha una biodisponibilità circa doppia rispetto ai folati contenuti negli alimenti (Oakley, 1998).
La folatemia sierica è compresa tra 6-19 ng/ml negli adulti ed è circa 2-3 volte maggiore nei neonati. 
Il fabbisogno giornaliero è di 5 mcg/kg nei neonati, di 8-10 mcg/kg nei bambini, di 800 mcg/die in gravidanza e di 55 mcg/die durante l’allattamento.
La quantità di acido folico presente nell’organismo può coprire il fabbisogno della vitamina solo per 2-4 mesi in assenza di un apporto costante esterno. Valori ematici inferiori a 4 ng/ml sono indicativi di uno stato carenziale. Per reintegrare le scorte di folato, è sufficiente un apporto giornaliero di 1 mg (orale) per circa tre settimane se non ci sono problemi di malassorbimento. In presenza di questi invece, la quota di acido folico da consumare sale fino a 5 mg/die.
L’acido folico per essere utilizzato dall’organismo deve essere convertito in acido tetraidrofolico, che agisce come accettore di unità carboniose. Viene ridotto a tale forma tramite una prima conversione a acido diidrofolico per azione della folico reduttasi, e quindi a tetraidrofolato tramite la diidrofolatoreduttasi.
Circa il 5-10% della popolazione occidentale è omozigote per una mutazione genetica, che determina un difetto parziale nell’attività dell’enzima 5,10-metilenetetraidrofolato reduttasi, coinvolto nel metabolismo dei folati. Neigli individui omozigoti è stata osservata una concentrazione eritrocitaria di acido folico inferiore alla norma e una lieve iperomocisteinemia, che può essere corretta con una supplementazione giornaliera di 100-200 mcg di acido folico (Doctor Pediatria, 2002).
Le cellule più colpite in caso di carenza di acido folico sono quelle a più alto turnover: eritrociti, leucociti, cellule epiteliali intestinali e della mucosa uterina. Nel midollo osseo si evidenziano megaloblasti, grossi eritrociti immaturi, da cui originano megalociti ad emivita più breve (anemia megaloblastica); neutropenia e piastrinopenia si manifestano con un aumento delle dimensioni dei leucociti; infine le cellule epiteliali intestinali presentano un alterato rapporto nucleo/citoplasma.
Il deficit di folati può essere causato da un apporto dietetico insufficiente; ridotto assorbimento (organico o indotto da farmaci); ridotta utilizzazione (carenza di vitamina B12, farmaci che bloccano la diidrofolatoreduttasi, alterazione della frazione proteica del sangue, alterazione del ricircolo enteroepatico dei folati); emorragie gravi; incremento del fabbisogno (crescita, gravidanza, allattamento, epatopatia alcolica, eritropoiesi accelerata).
Una ridotta disponibilità di folati a livello plasmatico ed eritrocitario è stata evidenziata anche in pazienti fumatori, rispetto ai non fumatori.

ATTIVITA' GENETICA
I folati agiscono come cofattori che rilasciano unità monocarboniose per la sintesi di purine e timidine, quindi un’adeguata concentrazione di folati è essenziale sia per la sintesi degli acidi nucleici che per la divisione cellulare. Bassi livelli di folati si comportano una incorporazione sbagliata dell’uracile al posto della timina nel DNA, aumentando il rischio di rotture del DNA.
I folati intervengono anche nel rifornimento di gruppi metilici per la conversione dell’omocisteina a metionina a sua volta coinvolta nella sintesi proteica e nelle reazioni di metilazione.
La metilazione del DNA permette di attivare e disattivare i geni e svolge un ruolo fondamentale nel mantenere l’integrità del DNA riducendo il rischio di rotture e mutazioni. Non è noto se eventuali alterazioni della metilazione del DNA conseguente a variazioni della concentrazione dei folati nell’organismo possa influenzare l’espressione di geni oncogeni o soppressori (Doctor Pediatria, 2009a).
Livelli bassi di folati si associano normalmente ad una riduzione della metilazione del DNA. Non è noto se un eccesso di folati possa avere effetti negativi.

ATTIVITA' NEUROLOGICA
In caso di pazienti anziani una carenza di acido folico può essere frequente (70%) e manifestarsi con disturbi di tipo neuronale in assenza di anemia macrocitica. Ridotti livelli plasmatici di folati e cobalamina più iperomocistinemia sono stati associati anche a una valutazione mnesica inferiore alla norma, a una diminuita cognitività astratta non verbale e una maggior tendenza a manifestare condizioni neuropsichiatriche.
Le ipotesi avanzate per giustificare il legame fra iperomocistinemia, carenza di acido folico, di vitamina B12 e disturbi neuropsichiatrici hanno preso in considerazione:
1) il ruolo dell’iperomocistinemia come fattore di rischio per lo sviluppo di cerebrovasculopatie responsabili di neuropatie e disturbi cognitivi;
2) un possibile stato di “ipometilazione” con conseguente deficit per l’attività neuronale; 
3) una eccessiva conversione di omocisteina a acido omocistico, sostanza dotata di attività eccitante e tossica e quindi responsabile di uno stato di ipereccitabilità neuronale (Nilsson et al., 1996).
La carenza di acido folico può inoltre indurre disturbi neuropsichiatrici relativi alla sfera affettiva, caratterizzati da una tendenza alla depressione (56% dei pazienti) (Shorvon et al., 1980). 
L’associazione di uno stato depressivo a deficit di folati sembrerebbe giustificato dall’interazione di questi ultimi sul metabolismo della serotonina (Botez et al., 1982).
La bassa folatemia è stata correlata anche ad una scarsa risposta al trattamento antidepressivo: nei pazienti depressi che rispondono in modo insoddisfacente alle terapie antidepressive andrebbero valutati i livelli di folato (Am. J. Psychiatry, 1997).
I soggetti con basse concentrazioni sia di vitamina B12 che di folati possono presentare un aumentato rischio di sviluppare la malattia di alzheimer, anche in assenza di un deficit di tali sostanze. Uno studio ha coinvolto 370 pazienti anziani senza demenza (età uguale o maggiore a 75 anni), i quali non assumevano correntemente vitamina B12 o folati: dopo 3 anni, 78 pazienti hanno sviluppato demenza. 
Dalle analisi effettuate la correlazione con la malattia di alzheimer è stata osservata solo considerando entrambe le due vitamine, ma non la sola vitamina B12 o il solo acido folico. Dal confronto fra i pazienti con bassi livelli con quelli con normali livelli di entrambe le vitamine, i primi sembrano avere il doppio del rischio di sviluppare la malattia di alzheimer. Il rischio di demenza associato con bassi livelli di vitamina B12 e di folato, è stato maggiore anche in soggetti con buone funzioni cognitive di base (Wang et al., 2001).
L’acido folico produce un miglioramento soggettivo delle vampate di calore diminuendo l’attività noradrenergica centrale. La percentuale di pazienti che è andata incontro ad un miglioramento significativo delle vampate di calore, nel gruppo trattato con acido folico (5 mg/die per 4 settimane) è stato significativamente maggiore rispetto al controllo. Inoltre, nel gruppo trattato è stata osservata una riduzione (p < 0.001) dei livelli plasmatici del principale metabolita della noradrenalina (3-metossi-4-idrossifenilglicole), ed una correlazione negativa tra il miglioramento delle vampate e i livelli plasmatici del 3-metossi-4-idrossifenilglicole (p = 0.03) (Gaweesh et al., 2010).

ATTIVITA' CARDIOVASCOLARE
L’accumulo di omocisteina, dovuta a una ridotta conversione a metionina per carenza di folati, risulta tossico per le cellule endoteliali; in particolare, l’ossidazione del gruppo tiolico dell’omocisteina, con conseguente produzione di radicali liberi, determina perossidazione lipidica svolgendo un ruolo attivo nelle fasi iniziali del processo di aterosclerosi.
Un incremento dei livelli ematici di omocisteina può essere presente fino al 30% dei coronaropatici e fino al 45% dei carebrovasculopatici e le concentrazioni sono influenzate da età, sesso, funzionalità renale, presenza di malattia tipo Les e psoriasi grave, impiego di farmaci (antiepilettici, metotrexato).
L’iperomocistinemia rappresenta quindi un fattore di rischio sia in caso di patologia vascolare a livello placentare (aborto o distacco placentare) (Fetal. Diagn. Ther., 1994) sia in caso di coronaropatia (Pancharuniti et al., 1994) che di stenosi carotidea extracranica (Selhub et al., 1995).
E’ stato messo in evidenza un rapporto diretto tra l’incapacità genetica di catabolizzare l’omocisteina e lo sviluppo a lungo termine di vasculopatie, confermando anche la correlazione esistente tra iperomocistinemia e aterosclerosi (Eur. J. Clin. Invest., 1996).
Poiché l’iperomocistinemia è correlabile ad un apporto non sufficiente di folati e vitamina B12, è probabile che una correzione dietetica in questo senso anche in pazienti con elevati livelli plasmatici di omocisteina ma senza segni clinici di vasculopatie arteriosa o venosa rappresenti un approccio corretto per ridurre il rischio di eventi trombotici (Corriere Medico, 2000).


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